Un giorno mi sono svegliato ed era un sacco di tempo che non raccontavo qualcosa. Non che non avessi più nulla da raccontare. C'è sempre qualcosa da raccontare. Anche quando non ti succede nulla. Anzi, forse è proprio quando non ti succede nulla che raccontare diventa un'esigenza. Magari perché vuoi che qualcosa ti accada. Magari perché devi solo riempire il tempo, e un po' anche lo spazio. Raccontare quando non ti succede nulla è un po' come fare le nuvole con la mente, che non sono sogni, quelli sono una cosa diversa, no: proprio nuvole, dico. Ma non era il mio caso. Nel mio caso era come se le nuvole fossero finte, come quelle fatte di cartone e appiccicate sulle pareti delle scuole elementari. Squadrate, col bordino nero per ritagliare. Ecco com'erano le mie nuvole. Se uno ce l'avesse fatta ad avvicinarsi, però, avrebbe notato che quelle nuvole là erano fatte di lettere. Centinaia, migliaia, milioni di lettere. A un primo sguardo ti sarebbero sembrate tutte uguali, un po' come quando vai dall'oculista e ti sforzi di fare il figo e leggere l'ultima riga. Il grosso problema è che avrei voluto essere Axel Rose, e mi ritrovo invece a guardare le nuvole col bordino nero. Ma porcatroia, però.